LA MAPPA DEL PERCORSO

 

In ogni viaggio è consuetudine munirsi di una mappa che ci accompagna nel percorso per aiutarci a ricevere indicazioni utili, ad esplorare e ad orientarci quando ne abbiamo bisogno.

Anche nel viaggio in noi stesi con la meditazione può essere utile una mappa.

Infatti, molte persone si avvicinano alla mindfulness, e più in generale alla meditazione, con l’aspettativa che la pratica li farà sentire più calmi e rilassati. E dopo un periodo di tempo variabile, se continuano a praticare, si accorgono che, così come tutto il resto nella vita, la pratica può essere esaltante, noiosa, strana, magica, difficile, dolorosa....

...E tutte queste cose insieme indipendentemente dal tempo della pratica...anche solo in soli dieci minuti!

Se siamo sufficientemente resilienti da superare la convinzione illusoria che “La pratica non fa per noi” o “Non in questo momento della mia vita”, la domanda è:

Come faccio a praticare quando sono alle prese con un’emozione difficile, o con dei pensieri che non riesco a lasciare andare?

Va subito detto che la tendenza ad evitare ciò che ci fa star male è profondamente radicata nelle abitudini della nostra psiche. E va aggiunto che la domanda è più che legittima perché quando siamo alle prese con delle emozioni spiacevoli la semplice istruzione di portare l’attenzione al respiro, senza confrontarci con le nostre difficoltà, difficilmente da sola potrà aiutarci a trovare un pò di pace. Come dice Jon Kabat-Zinn, a volte non si tratta di lasciare andare - se potessimo, lo faremmo - ma di lasciare essere. Per far ciò possiamo porci alcune domande, come suggerisce anche Ezra Bayda.

La prima domanda che Ezra Bayda suggerisce di porci quando siamo alle prese con un’emozione difficile è:

Cosa sta succedendo adesso?

Si tratta di fermarci e chiederci cosa sta succedendo davvero. Cioè di smetterla di dare per scontato che i nostri pensieri su una situazione sono veri, e iniziare ad aprirci alla possibilità di stare con la situazione reale.

Per esempio, può succedere che a volte siamo così presi dalle nostre paure che ci facciamo travolgere da immagini o pensieri circa il futuro che poco hanno a che vedere con quello che sta accadendo in questo momento, finendo con lo stare male per un realtà che è solo immaginata. Conoscete il proverbio cinese: disegni un dragone, e poi ti spaventi? Ecco, proprio così!

E poi spesso, quando siamo alle prese con una cosa spiacevole, la tendenza è di respingerla. E quasi senza che ce ne accorgiamo la mente formula un pensiero che suona più o meno così: “C’è qualcosa che non va”. La vita è ingiusta, quella persona è cattiva, sono un cretino. Questo accade quando c'è avversione per qualcosa: avete presente?

Ed è un attimo che la mente si ritrova a criticare, biasimare, volere aggiustare, analizzare… tutte operazioni che, invece di semplificare ciò che stiamo vivendo, lo complicano perché non fanno altro che aggiungere ulteriore disagio al momento presente. Le chiamano rimuginazioni, proliferazioni mentali o “storie”. Appunto, avete mai sentito l’espressione: “Te la stai raccontando?”. E’ importante coltivare la possibilità, che abbiamo in ogni momento, di riconoscere la storia che ci stiamo raccontando come una storia e nulla più, ovvero un insieme di pensieri che ci ripetiamo ossessivamente scambiandoli per delle verità assolute che non fanno altro che sostenere e rendere ancora più pesante il nostro disagio.

E questo è tanto più vero per tutte le volte in cui tendiamo a biasimarci e a giudicarci, raccontandoci che siamo degli inetti e seppellendo in questo modo le nostre qualità positive sotto un macigno di disprezzo e insicurezza che nulla ha a che vedere con chi siamo veramente

La seconda domanda che Ezra Bayda ci invita a porci quando ci troviamo alle prese con un’emozione difficile è:

Posso vedere questo momento come il mio percorso?

Lo so, in certi casi rispondere affermativamente a questa domanda è tutt’altro che facile, ma quando pratichiamo mindfulness è cruciale poterci aprire alla possibilità di farlo.

Si tratta di ricordarci che ogni momento è importante e prezioso esattamente così com’è, e che ciò che conta davvero è la nostra capacità di essere pienamente presenti alle nostre vite. Forse, se ci concediamo davvero di stare con le cose così come sono, ci siamo già un po' aperti e, forse, è proprio perchè ci siamo aperti davvero alle possibilità e alle potenzialità dell’ora che possiamo – se possiamo - fare la differenza nel futuro. Si tratta in sostanza di considerare i momenti e le emozioni difficili non più come ostacoli da evitare, ma come opportunità di pratica lungo un percorso dove il viaggio e la direzione contano molto di più della destinazione e del risultato.

Qualcuno potrebbe a questo punto sostenere che in fondo tutti noi desideriamo una vita senza problemi, e quindi perché non dirigere le proprie energie verso questo obiettivo? Perché anche questa è solo una storia che ci raccontiamo per illuderci che possiamo controllare tutto, dimenticandoci che prima o poi un problema indesiderato verrà certamente a farci visita, e che strategie come il controllo, la negazione o il biasimo non ci daranno mai la qualità di vita che stiamo cercando.

Si tratta in sostanza di aprire la mente e il cuore a ciò che il mondo ha da offrirci, lasciando andare le nostre convinzioni limitanti su chi pensiamo di essere e su ciò che pensiamo – appunto - di potere accogliere. La nostra vera natura è qualcosa di molto più vasto di quanto spesso tendiamo a credere.

Se ci apriamo al presente, viviamo quell'unico momento speciale e irripetibile che abbiamo.

Aprirsi al presente ci conduce direttamente al tema delle relazioni; sorgono alcune domande:

Stiamo praticando? Se si, abbiamo fatto delle scoperte interessanti?

Incontriamo delle difficoltà? E se la risposta è sì, come andiamo loro incontro?

C’è qualcuno con cui stiamo condividendo questa pratica oltre alle meravigliose persone che siamo?

Si, perchè alcune nostre scelte influenzano la qualità dell’amore che può fluire nella nostra vita!...vediamone alcune:

Impara a ricevere

Per alcuni di noi dare è più facile che ricevere. Dare ci fa sentire attivi e in controllo, ricevere può farci sentire passivi e vulnerabili. Eppure, nel lungo termine, non possiamo prenderci adeguatamente cura di noi se non coltiviamo anche la capacità di accettare i doni degli altri, siano essi concreti o intangibili.

Rifiutarci di ricevere non fa che confermare la nostra idea che non siamo abbastanza e che ci meritiamo poco, alimentando uno stato di deprivazione e una fame psicologica che non può non alterare la qualità delle nostre relazioni, a partire da quella con noi stessi.

Notate i pensieri che emergono quando qualcuno vi fa un complimento o vi offre la sua attenzione o il suo aiuto: “Non me lo merito”, “Ora dovrò dargli qualcosa in cambio”, “Chissà se sarò all’altezza”. Praticare mindfulness ci aiuta a vedere che questi sono solo pensieri, non verità assolute. Esplorate la possibilità di lasciarli per un momento sullo sfondo, e di accogliere questi doni con grazia.

Sentite la gratitudine che emerge nei confronti di chi sa darvi senza pretendere qualcosa in cambio, e ringraziate anche voi stessi per esservi concessi la possibilità di ricevere senza respingere. E’ un balsamo che può curare molte ferite.

Coltiva confini sani

Per fare in modo che i nostri bisogni vengano soddisfatti e per avere il nutrimento che cerchiamo nella nostra vita è fondamentale sviluppare e mantenere confini sani.

In una prospettiva di mindfulness, l’amore non ha a che vedere con il condividere tutto, ma piuttosto con lo scegliere che cosa vogliamo condividere con le persone che amiamo, a partire dall’intenzione di crescere e di meravigliarci insieme.

Fatevi il regalo di osservare onestamente che effetto hanno su di voi le vostre relazioni. Vi sentite nutriti? Affaticati? Energizzati? Avviliti? Inappropriatamente coinvolti al punto tale da trovarvi a soddisfare i bisogni di un’altra persona ad evidente scapito dei vostri? Cos’altro osservate? Quali relazioni valgono il vostro tempo e la vostra energia e quali, invece, potrebbero essere un pò ristrutturate o lasciate andare? Quando dire “no” è un atto di amore?

Ricordatevi che, anche se possiamo riconoscere tutte queste cose, chiudere relazioni tossiche o evitare il ripetersi di alcuni automatismi richiede pazienza e disciplina. Il disagio che potreste provare mentre vi impegnate a creare confini sani fa parte del percorso: consideratelo un test di quanto volete davvero essere una persona libera e incontrare l’altro come un essere sacro e indipendente da voi. Evitate di massacrarvi di giudizi, praticando la compassione verso voi stessi, e ricordate che i confini sani si nutrono di confini sani: più li coltiverete, più diventeranno forti e vitali.

E anche se forse non è quello che la mente immagina ora, più i vostri confini saranno attivi, più vi accorgerete che saranno accompagnati da una sorta di porosità, attraverso cui l’amore e la generosità potranno fluire naturalmente. Potreste addirittura essere più autentici, trasparenti a tratti, senza che questo si accompagni a vulnerabilità o a prevaricazione.

Perché a quel punto sarà chiaro che la responsabilità di prenderci cura di noi, e di darci amore, è nostra.

 

Ma talvolta siamo talmente convinti di ciò che pensiamo, che a stento ci accorgiamo di pensarlo. Vero?

Non lo vediamo insomma, un pò come se guardando la superficie di un lago dalla riva ci convincessimo che sotto non c’è vita solo perché l’acqua è scura. Eppure sono proprio i pensieri più profondi e radicati, quelli sotto alla superficie, a governare il nostro sentire e il nostro agire.

Per esempio, potremmo credere di essere senza valore in un mondo di supereroi, che se diremo di no verremo rifiutati, che dobbiamo sempre compiacere gli altri per tenerceli vicini, che se non arriviamo sempre primi allora valiamo ben poco. E potremmo credere a tutto ciò senza nemmeno esserne consapevoli, per poi trovarci in balia di emozioni potenti come la rabbia, la tristezza, la vergogna, la paura o altre emozioni dolorose senza capire bene cosa ci sta succedendo, o raccontandoci una storia che poco ha a che vedere con le cose così come sono, e tanto con i nostri fallimentari tentativi di evitare il disagio e l’insicurezza.

Si tratta poi di pensieri che agiscono un pò come un radar, andando alla ricerca delle esperienze che li confermano secondo un meccanismo classicamente definito come profezia che si autoavvera.

Per esempio, se crediamo di non essere degni di amore e che gli altri sono quindi poco interessati a noi, basterà anche una banale distrazione per confermare la nostra credenza-radar.

E’ dunque di fondamentale importanza sapere dove tendiamo a fissarci con le nostre credenze-radar. E sapere come poterci lavorare in una prospettiva di mindfulness.

Ancora una volta, si tratta di chiederci:

Qual è il pensiero a cui credo di più?

E aprirci alla possibilità di accogliere questa domanda con curiosità, coraggio e gentilezza, senza fermarci alla prima risposta e accogliendo anche i momenti in cui non emerge alcuna risposta, che sono altrettanto preziosi.

Se non emerge alcuna risposta, torniamo alle sensazioni del respiro e del corpo, e dopo un pò possiamo di nuovo porci la stessa domanda: qual è il pensiero a cui credo di più? Prima o poi, se continuiamo con perseveranza, la risposta arriverà portando con sé una qualità che ci farà dire: “Ma sì, certo!”. Ed in quel momento, che alcuni chiamano insight o intuizione improvvisa, altri ristrutturazione cognitiva, inizieremo a riconoscere la presenza di questa credenza in tanti altri momenti della nostra vita, e anche la possibilità di iniziare a lasciarla andare.

 

Si tratta di un momento magico, perché è allora che possiamo risvegliarci alla vastità della nostra vera natura, che include anche le parti di noi che non ci piacciono ma che sa che, fondamentalmente, non c’è nulla da correggere perché non siamo difettosi.

 

LA GENTILEZZA AMOREVOLE E LA DOMANDA CHE COS’È QUESTO?

Secondo Ezra Bayda questa domanda, è forse la più importante nella nostra pratica di mindfulness. Essa è un koan che, come per tutti i koan, non può essere compreso percorrendo una strada intellettuale, ma trova eventualmente la sua risposta solo nell’entrare nell’esperienza fisica immediata di questo momento.

Possiamo fermarci anche ora, e praticarla insieme chiedendoci: che cos’è questo?

Portiamo l’attenzione alla postura.

Alle sensazioni del corpo nel suo insieme.

Ad aree del corpo che magari sono contratte – il volto, il petto, le spalle, lo stomaco. Includiamo anche la consapevolezza dello spazio nel quale siamo immersi: la temperatura, la luce, i suoni che lo attraversano.

Stiamo con le sensazioni del respiro, dell’aria che entra ed esce dal corpo, mentre accogliamo le sensazioni di questo momento.

Sentiamo l’energia del corpo mentre portiamo l’attenzione a cosa c’è, anziché chiederci, come spesso facciamo, perché – che poi è spesso il segno del fatto che stiamo, ancora una volta, resistendo all’esperienza.

Ora, se ci avete appena provato e siete stati visitati da un’emozione spiacevole, è probabile che questa pratica non sia stata facile. Rassicuratevi, è normale: se siamo molto agitati è difficile stare con questa domanda e viverla attraverso l’esperienza del corpo, perché fare esperienza del presente così com’è significa rinunciare alle nostre difese abituali. Avete presente la nostra tendenza a giustificare, controllare, evitare di sentire, distrarci e così via? Ecco. Lo facciamo tutti, con il risultato di restare intrappolati nelle nostre credenze-radar che ci chiudono all’esperienza della vita così com’è.

Per esempio, se sentiamo ansia, è naturale volerla evitare. Potremmo cercare distrazioni, spiegazioni, o modi per eliminarla. Ma chiedendoci: Che cos’è questo? e osservando l’esperienza dell’ansia nel corpo - senza analizzarla, ma osservandola semplicemente - risvegliamo in noi la qualità della curiosità, che ci permette di fare l’esperienza della verità di ogni momento, oltre a qualsiasi storia ci stiamo raccontando su di noi e sul mondo.

Essere curiosi significa che siamo disposti ad addentrarci in territori sconosciuti e ad espandere i nostri limiti, esplorando le nostre paure. Essere curiosi significa potere dire “Sì!” all’interezza della nostra esperienza, anche alle parti più difficili.

Che non vuol dire che l’esperienza ci piaccia, o che la stiamo per forza accettando. E non vuole neanche dire negare quella parte di noi che invece dice, a volte urla: “No!”. Essere curiosi vuol dire che portiamo l’attenzione, semplicemente e meticolosamente, anche al “No!”. Vuol dire che smettiamo di resistere alle persone, alle cose e alle paure che non ci piacciono, e impariamo ad aprirci e ad invitarle dentro di noi.

Va bene. Ci abbiamo anche provato ma la mente è in un tale stato di panico e confusione che tutto abbiamo voglia di fare tranne che di coltivare la curiosità. Come possiamo stare con le nostre paure, che poi sono le stesse che limitano la nostra capacità di amare?

Quando tutto sembra oscuro e irrisolvibile, e quasi abbiamo perso la voglia di farcela, proviamo questo: facciamo un respiro profondo ed inspirando portiamo l’attenzione al cuore, mentre espirando dirigiamo verso tutto il nostro essere lo stesso calore, la stessa tenerezza e la stessa compassione che porteremmo verso un amico o un bambino in difficoltà. Respirare nel cuore, e connetterci fisicamente con il centro del nostro essere, è un modo per coltivare la gentilezza amorevole verso noi stessi anche nei momenti in cui di gentilezza intorno a noi ci sembra di vederne ben poca.

Mentre ci ricordiamo che il nostro disagio è anche il nostro percorso, e respiriamo portando l’attenzione al cuore, possiamo imparare a stare con il dolore. Anche se riuscissimo a farlo per un solo respiro, avremmo comunque coltivato la pazienza, la gentilezza e il coraggio che possono guarire anche le ferite più profonde.

Perché solo entrando nel corpo, e vivendo visceralmente la domanda: Che cos’è questo? riusciremo a vedere al di là di ogni nozione intellettuale che la nostra esperienza, per quanto spiacevole, è in continuo mutamento e che, in fondo, è solo una combinazione di credenze, sensazioni fisiche, e vecchi ricordi.

E quando ce ne accorgiamo, l’esperienza del dolore si scioglie nei suoi aggregati.

 

E’ così che la mindfulness trasforma e guarisce.

 

POSSO LASCIARE CHE QUESTA ESPERIENZA SEMPLICEMENTE SIA?

Facile vero? Se avete appena risposto sì, sappiate che probabilmente ve la state raccontando. Se invece la risposta è stata negativa, sono contenta di sapere che non sono sola, e che anche voi siete umani: tutti noi vorremmo istintivamente liberarci delle esperienze spiacevoli!

La verità è che lasciare che la nostra esperienza semplicemente sia diviene possibile solo dopo che abbiamo scoperto quanto è futile cercare di aggiustare noi stessi e gli altri. In altre parole, cercare di respingere o di non sentire le emozioni difficili semplicemente non funziona ma, anzi, peggiora le cose. Nel lungo termine, è molto più doloroso cercare di respingere un’esperienza, piuttosto che sentirla.

E, ancora una volta, si tratta di una comprensione che può radicarsi profondamente dentro di noi solo se ci concediamo di farne l’esperienza. Perché una volta che lasciamo davvero che la nostra esperienza semplicemente sia, succede qualcosa di magico: la consapevolezza diventa un contenitore spazioso nel quale il disagio in qualche modo perde la sua consistenza, e inizia a sciogliersi.

A volte può aiutare espandere il panorama della consapevolezza includendo la consapevolezza dell’aria e dei suoni, o di qualsiasi altro elemento che ci permetta di portare l’attenzione oltre ai confini della pelle. In questo contenitore più ampio e spazioso, il disagio potrebbe persino trasformarsi da qualcosa di scuro e pesante in un’energia che non necessita di parole e che porta con sé le qualità della luminosità e della leggerezza. E a quel punto l’emozione potrebbe cambiare da sola, senza il nostro intervento.

 

Quando pratichiamo mindfulness quest’ultima domanda:

Posso lasciare che questa esperienza semplicemente sia? ci permette anche di aprirci alla qualità della gentilezza amorevole, perché invece di seguire la mente e giudicare noi stessi o le nostre esperienze come difettosi solo perché stiamo provando quel che stiamo provando, siamo finalmente disponibili a vivere pienamente la nostra vita a partire dallo spazio del cuore.

Buona pratica!!